- Migrazione e Tratta di esseri umani: evoluzione del fenomeno e scenari emergenti
Parlare di “fenomeno migratorio” significa affrontare un tema sempre più complesso, eterogeneo e di difficile interpretazione. Le motivazioni economiche che spingono alla partenza, sempre più si uniscono a elementi di vulnerabilità sociale fino a situazioni di persecuzione e violenza, rendendo sempre più labile il confine tra quelle che finora erano conosciute ed identificate come “migrazioni volontarie” o “migrazioni forzate”.
Prendendo in esame il triennio che va dal 2014 al 2016, durante il quale ha preso forma una nuova fase di flussi migratori verso l’Europa, l’Italia ha accolto oltre 500mila migranti, più di quanti ne sono arrivati nei 17 anni precedenti di sbarchi. In parallelo sono cresciuti in modo significativo i migranti che hanno fatto richiesta di asilo politico e protezione internazionale nel nostro Paese: oltre 270mila nel triennio considerato (Dati del Ministero dell’Interno – Gennaio 2017).
In questo scenario di complessità caratterizzato da: esistenza di motivazioni multiple all’espatrio, necessità di modificare in itinere il progetto migratorio, “slittamento” forzato da una situazione all’altra e la figura del migrante che diviene sempre più indefinita e fragile da un punto di vista sociale, si innesta il fenomeno della Tratta di esseri umani. Tale fenomeno è in costante evoluzione e comprende attualmente modalità di azione, tipologie di vittime e forme di sfruttamento sempre più diversificate e complesse. Oltre ai modelli di sfruttamento definiti “tradizionali”, nel tempo sono sorte e si sono strutturate nuove forme di tratta finalizzate a una vasta gamma di attività illegali: furto, accattonaggio, vendita di prodotti contraffatti, coltivazione e spaccio di droga, espianto di organi, matrimoni forzati e combinati; si registrano inoltre casi di vittime soggette a sfruttamento multiplo, pur rimanendo la prostituzione forzata in strada, la tipologia di tratta più visibile e conosciuta.
Ciò che accomuna le vittime, al di là delle forme di sfruttamento a cui vengono sottoposte, è una condizione di vulnerabilità di base che influisce in modo significativo sulla loro capacità di autodeterminazione. I contesti di origine sono spesso caratterizzati da povertà endemica, conflitti sociali, violenza di genere, discriminazioni, mancanza di politiche di welfare, disoccupazione e assenza di prospettive concrete di realizzazione. Molte persone fuggono da nuclei familiari culturalmente deprivati e disfunzionali, hanno abbandonato prematuramente la scuola o hanno esperienza di unioni precoci fallimentari.
Dalla fine degli anni ’80 ad oggi, lo scenario fenomenico della tratta in Italia ha dunque subito una modificazione epocale che ne ha allargato gli orizzonti, includendo nuove forme di sfruttamento e gruppi di vittime più compositi in termini di nazionalità, genere, età e background socio-culturale anche in relazione al cambiamento delle rotte e delle modalità di ingresso.
Nel tempo, anche le strategie di reclutamento e trasferimento dei migranti irregolari sono cambiate e si sono riorganizzate costantemente in risposta alle azioni di contrasto dei governi e delle forze dell’ordine; hanno trovato nuove opportunità in occasione delle cosiddette “emergenze”, come quella legata al forte afflusso di migranti dal Nord Africa nel 2011, e al potente incremento delle migrazioni registrato negli ultimi anni, in cui reti finalizzate alla tratta riescono facilmente a infiltrarsi. I trafficanti si avvalgono di una fitta rete di connivenze che coinvolge, tra le varie figure, mediatori, pubblici ufficiali corrotti, personale diplomatico, agenzie di impiego, smugglers, proprietari di appartamenti o hotel, “caporali” e datori di lavoro. Non ci sono solo le grandi organizzazioni strutturate, accanto al modello della grande organizzazione criminale transnazionale si riscontra spesso un modello più di tipo “familistico”, ovvero costituito da parenti, vicini di casa o pseudo fidanzati, o una rete caratterizzata dalla presenza di singoli individui o piccoli gruppi flessibili che spesso agiscono come facilitatori fornendo in modo occasionale o regolare i loro servizi, in prossimità con la criminalità locale.
I paesi dove si concentra la destinazione del trafficking sono Belgio, Germania, Italia, Grecia e Olanda (seguiti da Austria, Spagna, Danimarca, Francia e Svizzera); ciò accade per la diffusa presenza di una florida industria del sesso e/o di ampie zone di economia informale e sommersa (come in molte aree dell’Europa del Sud, dove l’assenza di regolamentazione e la richiesta continua di manodopera non specializzata a basso costo favoriscono l’invischiamento in situazioni di grave sfruttamento lavorativo) mentre i principali paesi di origine delle vittime risultano essere Nigeria, Romania, Bulgaria, Moldavia,Cina, Federazione Russa e Ucraina.
I tentativi di quantificazione del fenomeno sono fortemente ostacolati dalla natura illegale e sommersa della tratta, nonché dal suo carattere di mobilità. Le statistiche disponibili rappresentano pertanto soltanto la “punta dell’iceberg” e risentono anche dei limiti dovuti all’adozione di definizioni giuridiche non sempre convergenti e di differenti sistemi di raccolta dati; ne deriva che, in mancanza di dati certi sul fenomeno tratta- asilo, le dimensioni dello stesso non sono opportunamente quantificabili ma si tratta solo di stime; per il periodo 2013/2014 in Europa sono state registrate 15.846 persone vittime di tratta (sia accertate che presunte) ma si ritiene che in realtà il numero sia significativamente più elevato – (Eurostat, 2015).
- La tratta a scopo di sfruttamento sessuale
Il 67% delle persone trafficate sono destinate allo sfruttamento sessuale e il 95% di queste sono donne e ragazze – (Eurostat, 2015); la tratta, in particolare è una forma di violenza contro le donne, infatti la maggior parte delle vittime sono donne, sfruttate non solo sessualmente, ma anche nel lavoro domestico, nell’industria e nel settore turistico-alberghiero.
Il fenomeno della tratta a scopo di sfruttamento sessuale di donne migranti, per essere correttamente inquadrato e compreso va collocato, oltre che nel quadro dei succitati fattori, anche all’interno del fenomeno dalla crescente femminilizzazione della povertà e dalle diffuse violazioni dei diritti sociali ed economici delle fasce più deboli della società; occorre sottolineare non solo che oggi la prostituzione è fortemente intrecciata anche con la povertà, che rimane uno dei principali fattori espulsivi dai paesi di provenienza,ma anche con lo specifico fenomeno della migrazione femminile. In esso si intersecano in modo articolato i problemi della prostituzione, dell’immigrazione, dei flussi migratori, delle politiche e delle legislazioni su questa materia dei Paesi di destinazione dei migranti.
Pertanto questo argomento, rappresenta un oggetto psicosociale complesso: la prostituzione e la tratta sono fenomeni non sovrapponibili ma significativamente interferenti. In altri termini vi è una tipologia di tratta che non è legata alla prostituzione e viceversa. Analizzare e affrontare questo ambito psicosociale implica letture complesse, lontane da interpretazioni semplicistiche.
Numerosi studi hanno documentato, da prospettive diverse, tratti caratteristici della tratta a scopo di sfruttamento sessuale ed i cambiamenti occorsi nell’ultimo decennio in Italia: l’implosione del cosiddetto “modello prostituzionale albanese”, caratterizzato da modalità di reclutamento e gestione particolarmente violente e la sua sostituzione con quello romeno (tutt’ora predominante) nei primi anni del duemila; il consolidamento del “modello prostituzionale nigeriano”, basato sulla schiavitù da debito, l’affermarsi di altri gruppi nazionali (non solo dall’America Latina e da altri paesi dell’Est ma anche dal Maghreb e dalla Cina); lo spostamento “al chiuso” (indoor) e la crescita dell’offerta di servizi sessuali via internet; la complessiva riduzione dei livelli di violenza esercitati sulle vittime e, al contempo, la diffusione di forme più “negoziate” di sfruttamento, basate su una maggiore contrattazione, partecipazione ai proventi e, come nel caso delle donne romene, sulla presenza della figura dei fidanzati/sfruttatori (i cosiddetti “loverboys”, uomini che, utilizzando tecniche seduttive e di manipolazione affettiva, avviano forzatamente alla prostituzione o ad altre attività illegali ragazze particolarmente vulnerabili) e all’adescamento delle vittime attraverso internet.
Le persone trafficate e gravemente sfruttate vivono forme di disagio multiple, strettamente connesse alla tipologia di sfruttamento subito e alle condizioni di vita patite; le persone costrette a prostituirsi sono oggetto di violenza di genere (61,7%), vivono in povertà (57,9%) e sviluppano problemi di salute mentale (51,9%). In misura inferiore, ma pur sempre significativa, fanno uso o abuso di alcool (33,1%), di sostanze stupefacenti (26,3%) e sono senza dimora (26,3%). Alla luce di questi dati, è evidente che le vittime di tratta costituiscono un gruppo altamente composito e multiproblematico per cui è indispensabile elaborare strategie e pratiche innovative volte al reinserimento sociale, alla prevenzione delle discriminazioni e della ricaduta in condizioni di sfruttamento (Osservatorio Tratta – 2015).
- La tratta come fenomeno di genere
“La grande presenza di donne vittimizzate deve indurre a guardare il fenomeno da un punto di vista culturale, laddove le strutture patriarcali facilitano la vittimizzazione delle donne e le strutture culturali delle società non permettono di percepire la gravità dello sfruttamento para-schiavistico”. (M.G. Giammarinaro Rappresentante Speciale e Coordinatrice dell’OSCE per la lotta al traffico di esseri umani 2014).
Il reclutamento forzato o ingannevole di donne e minori per fini di prostituzione forzata o sfruttamento sessuale è dunque una forma di violenza legata al genere, che può costituire persecuzione. Le donne e i minori vittime di tratta possono essere particolarmente suscettibili di gravi ritorsioni da parte degli sfruttatori dopo la loro fuga e/o al loro ritorno, così come a una reale possibilità di cadere nuovamente vittime di tratta o di essere soggetti a gravi emarginazione e/o discriminazione da parte della famiglia o della comunità di provenienza.
Come precedentemente rilevato, il 2016 si è caratterizzato anche per un significativo aumento delle donne tra i migranti che sbarcano in Italia e quelli che chiedono asilo in Italia (15% del totale – dati Eurostat); dato in linea con la percentuale di donne migranti arrivate via mare, (13% del totale – dati UNHCR). la Nigeria si conferma come nazione più rappresentata ( il 40% delle richieste d’asilo da parte di donne proviene dalla Nigeria: +95.5% rispetto al 2015). La migrazione femminile è un fenomeno in parte diverso da quella maschile, tanto per i motivi che spingono a partire e per la minore autonomia nel processo decisionale, quanto per i rischi a cui le donne sono esposte: dalla tratta a scopo di prostituzione alle violenze durante il viaggio.
Secondo un Rapporto Oim – (Ricerca sul profilo socioeconomico dei migranti che arrivano in Italia, 2016) molte donne affermano di essere partite per scappare da abusi, violenze e matrimoni forzati, oppure per seguire i compagni; un altro dato interessante evidenzia come nel caso di migranti maschi l’82% decide in autonomia di partire mentre per le donne, questa percentuale scende al 59%. Questo dato significa che in 2 casi su 5, la decisione della partenza è assunta da un’altra persona che in un caso su 3 è un familiare; in questo processo rientrano i casi di donne vendute per lo sfruttamento sessuale.
Secondo il rapporto del Greta – Rapporto Greta, 2017 (Gruppo Esperti Monitoraggio attuazione direttive antitratta), il 70% dei bambini e delle donne che arrivano dalla Nigeria mostra segnali tipici della vittima del traffico di esseri umani, finalizzato allo sfruttamento lavorativo o sessuale. L’OIM (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni), avvalendosi sia di testimonianze che di indizi ( nazionalità, regione di provenienza, età, livello di istruzione, segnali fisici, condizioni familiari e comportamento all’arrivo) ritiene che l’80% delle nigeriane arrivate in Sicilia nel 2016 siano vittime di tratta, destinate in Italia al mercato della prostituzione.
Anche quando la migrante non sia vittima di tratta, può frequentemente accadere che subisca violenze durante il viaggio, da parte degli organizzatori degli spostamenti o dei gestori dei campi. Secondo un rapporto del Parlamento Ue (2016) – dipartimento diritti civili e affari costituzionali – sull’accoglienza di rifugiate e richiedenti asilo, le donne che viaggiano da sole possono essere vittima di violenza sessuale e di genere, tanto durante il viaggio quanto nei centri di accoglienza, è il caso ad esempio della detenzione nelle connection houses in Libia in cui sono spesso esposte a violenze e costrette a prostituirsi per poter proseguire il viaggio.
La prospettiva di genere in questo caso, così come per altri fenomeni, è dunque utile per potere evidenziare, da un lato, le differenze di status e potere legate al genere e dall’altro tenere conto di come tali discriminazioni influenzino i bisogni immediati e di lungo termine di donne e uomini al fine di mettere in atto, non solo programmi di intervento per le vittime e la lotta al crimine, ma anche e soprattutto strategie di prevenzione come indicato dalla Strategia UE per l’eradicazione della tratta degli esseri umani (2012 – 2016) all’interno della quale la comprensione e la riduzione della domanda sono evidenziate come azioni di importanza cruciale.
A tale scopo il governo italiano ha adottato il Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani (PNA) per gli anni 20016-2018. Tale piano definisce strategie pluriennali di intervento per la prevenzione e il contrasto al fenomeno della tratta e del grave sfruttamento degli esseri umani, nonché azioni finalizzate alla sensibilizzazione, alla prevenzione sociale, all’emersione e all’integrazione sociale delle vittime. Tale Piano contiene il Programma Unico di emersione, assistenza e di integrazione sociale delle persone vittime di tratta e grave sfruttamento (Decreto del 16 Maggio 2016).
L’adozione del Primo piano d’azione italiano contro la tratta risponde ad esigenze sistematiche di riordino e razionalizzazione dell’azione di governo, principalmente per favorire un approccio comprensivo e coordinato basato su sinergie tra le varie Amministrazioni centrali, territoriali e locali coinvolte e le relative risorse disponibili, anche alla luce della pluralità di competenze pubbliche impegnate nel contrasto alla tratta, corrispondenti alle quattro direttrici su cui, a livello internazionale, si innesta comunemente ogni strategia organica in materia (Strategia delle 4 P: Prevention, Prosecution, Protection e Partnership).
A livello di Unione Europea, il quadro giuridico e politico riconosce la tratta come fenomeno di genere e impone agli Stati membri di porre in essere azioni gender-specific. Per la prima volta, la Direttiva 2011/36/UE del Parlamento Europeo ha adottato un approccio di genere al fenomeno della tratta, riconoscendo che le donne e gli uomini, le bambine e i bambini subiscono la tratta in circostanze diverse e necessitano di forme di assistenza e sostegno attente alla dimensione di genere. Inoltre, la Strategia UE individua nella violenza sulle donne e nella disuguaglianza di genere una causa di fondo della tratta e delinea una serie di misure finalizzate ad affrontare la dimensione di genere, poiché la vulnerabilità alla tratta finalizzata a forme diverse di sfruttamento dipende dal genere.
Sulla base delle principali raccomandazioni, l’efficacia delle azioni di prevenzione, contrasto della tratta e tutela delle vittime non può prescindere quindi da un approccio globale e di sistema al fenomeno e alle sue conseguenze.
- Connessione tra il sistema antitratta e il sistema di asilo politico
Negli ultimi anni si è osservata una crescente presenza di vittime della tratta nel Sistema asilo politico, così come l’inserimento di richiedenti/titolari di protezione internazionale nelle accoglienze specifiche per le vittime di tratta.
Sebbene per molti anni i due Sistemi di riferimento (rispettivamente della protezione internazionale e dell’‘anti- tratta) non si siano confrontati sulla commistione tratta/asilo adottando procedure e modalità operative distinte, i due percorsi, in realtà, presentano ampi margini di sovrapposizione e interconnessione. La base giuridica di tale connessione è costituita dall’applicazione dell’articolo 1A(2) della Convenzione del 1951 alle vittime di tratta (o a persone a rischio di tratta). Come evidenziato nelle linee guida predisposte dall’UNHCR, alcune vittime possono rientrare nella definizione di rifugiato in virtù dell’interpretazione della clausola di salvaguardia contenuta nell’articolo 14 del primo Protocollo di Palermo, in base alla quale gli Stati hanno l’obbligo di considerare le necessità di protezione internazionale delle vittime di tratta. E del resto, l’art. 11 della direttiva 2011/36/UE, dedicato alle misure di assistenza e sostegno alle vittime della tratta di esseri umani, prevede espressamente che a quest’ultime vengano fornite le necessarie informazioni sulla possibilità di accedere alla protezione internazionale. Il requisito fondamentale affinché tale riconoscimento sia possibile è la sussistenza del “fondato timore di persecuzione”, legato ad almeno una delle fattispecie di motivi contemplati dalla Convenzione (razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinioni politiche). Nel caso in questione, la persecuzione consisterebbe in tutti quegli atti o comportamenti, inerenti l’esperienza di tratta stessa, che costituiscono una violazione dei diritti umani (la prostituzione o lavoro forzato, la violenza fisica e sessuale, il prelievo di organi, la restrizione della libertà personale, i maltrattamenti, le minacce, la negazione di cibo o cure mediche, ecc.). Oltre a quelle già vissute, vanno altresì considerate le possibili persecuzioni o violazioni che la persona subirebbe se rientrasse nel paese di origine (gravi ritorsioni nei confronti suoi e della sua famiglia, rifiuto, emarginazione e discriminazione, re-trafficking).
La normativa in materia di protezione internazionale si è quindi evoluta riservando sempre maggiore attenzione al diritto alla protezione in base all’appartenenza ad un determinato gruppo sociale e in particolare sulla base del genere e dell’orientamento sessuale. È inoltre aumentata l’attenzione verso: le violenze di tipo sessuale come forme di violenza generalizzata soprattutto nelle situazioni di conflitto; la violenza sessuale come atto di persecuzione e la stratificazione di traumi durante tutto il percorso che i richiedenti protezione compiono per arrivare nel Paese d’asilo.
In Italia il collegamento tra il Sistema Anti-tratta e il Sistema Asilo è mancato per molto tempo ed è stato riconosciuto solo recentemente con la promulgazione del D.lgs.24 del 4 marzo 2014 che recepisce la direttiva 2011/36/UE. Tale decreto prevede misure di coordinamento (ed eventuale rinvio) tra amministrazioni che si occupano di tratta e di asilo, l’obbligo di fornire agli stranieri che si avvalgono dell’art. 18 informazioni sulla protezione internazionale e la trasmissione degli atti al questore da parte delle Commissioni territoriali se durante l’esame emergono fondati indizi di tratta, ma non ci sono le condizioni per la concessione della protezione internazionale. Attualmente in Italia è possibile attivare percorsi paralleli: nel momento in cui una vittima di tratta viene identificata all’interno di una procedura di richiesta di protezione internazionale può contemporaneamente ricevere assistenza specializzata per persone trafficate rimanendo nel canale dell’asilo e viceversa. L’integrazione fra questi due sistemi, ad oggi in via di perfezionamento, ha dato l’opportunità alla Cooperativa Il CAMMINO in qualità di Ente Antitratta, di intercettare un elevato numero di donne vittime della tratta ma nello stesso tempo di rilevare una lacuna nelle possibilità di intervenire rispetto a quelli che sono i bisogni prevalenti ed immediati delle donne intercettate.
- Principali aree di vulnerabilità e di bisogni del target
Le persone sfruttate che si prostituiscono in strada o al chiuso sono portatrici di condizioni di grave fragilità e di bisogni fortissimi; spesso si sommano tra loro condizioni di povertà, di malattia, di dipendenza da sostanze, di clandestinità, di sradicamento e di assenza di reti di sostegno sociale.
Inoltre la condizione della vittima di sfruttamento sessuale assomma in sé una serie di fattori che amplificano i rischi per la salute e perpetuano la condizione di vittimizzazione:
- La clandestinità: che produce in tutte le persone paura, isolamento, ricattabilità.
- L’isolamento linguistico, che produce l’impossibilità di comprendere e farsi comprendere, di orientarsi, di chiedere aiuto.
- La mancata conoscenza dei servizi, di cui le vittime spesso ignorano le condizioni di accesso, o addirittura temono che siano luoghi di segnalazione e denuncia.
- Il turn over, gli spostamenti di luoghi e orari, nella città o tra città e città, che genera disorientamento e amplifica l’isolamento.
- Il sesso non protetto: alcuni clienti chiedono sesso non protetto e alcune donne possono accettare tali richieste, se sono accompagnate da una offerta di maggior denaro per la prestazione, o se la prestazione avviene in luoghi chiusi, in cui la vittima non può contrattare con il cliente.
- Le conseguenti gravidanze e le interruzioni di gravidanza praticate anche in modalità clandestine o autoprocurate.
- Le pratiche di autocura: molte donne, in particolare nigeriane, hanno l’abitudine di autosomministrarsi farmaci ritenuti erroneamente utili a fini contraccettivi o preventivi delle malattie sessualmente trasmesse.
- Problemi di salute legati alla qualità della vita, ad una alimentazione inadeguata, all’esposizione a ritmi di sonno veglia o a condizioni ambientali (freddo/caldo) stressanti.
Inoltre, nell’ambito delle condizioni generali di sofferenza cui sono esposte tutte le persone che si prostituiscono in strada e al chiuso si segnalano alcune categorie di soggetti che maggiormente soffrono e rischiano una compromissione gravissima in termini di salute e salvaguardia dell’integrità psico-fisica: in particolare le donne minorenni e le donne in gravidanza che si prostituiscono.
Spesso la minore età è accompagnata da condizioni multiproblematiche: in particolare una grave deprivazione cognitiva e/o affettiva, precedenti episodi di abuso familiare, esperienze di abbandono o di istituzionalizzazione.
Per quanto riguarda invece le donne in gravidanza, spesso si trovano a dover proseguire per mesi, nella loro attività prostituiva, senza attenzioni per la salute, senza effettuare gli indispensabili controlli sanitari e senza l’adeguata consapevolezza per la loro condizione.
In conclusione, appare evidente che le donne vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale hanno avuto esperienze estreme in termini di esposizione a rischi multipli e a compromissione dell’integrità individuale, il tutto inserito in una cornice di sfruttamento della persona che mette l’accento sulla mancanza di alternative e sulla “obbligatorietà” della scelta di prostituirsi, per necessità economica, per deficit cognitivi, per fragilità psicologica e affettiva.